lunedì 11 marzo 2013

Pittore vs. Regista (pt.4): la creazione secondo Michelangelo e Stanley Kubrick

"Non c'è due senza tre ed il quarto vien da sé": la scorsa volta ci eravamo salutati con questo proverbio che mia nonna amava ripetere ogni volta se ne presentasse l'occasione e mi sembra il caso di dire che, effettivamente, capita proprio al momento giusto!
Dopo tre appuntamenti con questo quarto, ed ultimo, intervento termina la saga di "Pittore vs. Regista", iniziata con Goya ed il cinema "weird" di Yuzna e Merhige e proseguita con le considerazioni di carattere antropologico rapportate al tema della carne umana e del corpo di Francis Bacon e David Cronenberg e con il terzo appuntamento, in cui Renè Magritte e David Lynch hanno messo sottosopra le menti degli spettatori con le loro labirintiche visioni della realtà e della psiche umana. E con l'ultimo appuntamento si conclude in bellezza questo piccolo ciclo di articoli, un titano della pittura dialoga con uno dei più influenti maestri del cinema Hollywoodiano sul delicato tema della creazione umana.


Ci sono domande antichissime a cui l'uomo ha tentato con ogni mezzo di dare una risposta: una di queste è di sicuro "Chi siamo e da dove veniamo", le religioni, le filosofie e le varie teorie sull'evoluzione e sull'antropologia sono congetture ed ipotesi che non riescono ad indagare un mistero così profondo ed inconoscibile, e piano piano si fa strada un'angosciosa domanda: siamo forse frutto del caso o magari c'è una qualche entità che ci ha creato o, per meglio dire, ha accompagnato il nostro corso evolutivo?


La Bibbia ha cercato di rispondere a questo quesito sul senso della vita nel libro della "Genesi", ove si racconta di come Dio creò il cosmo, la terra e tutti gli esseri viventi, eleggendo l'uomo come creatura fatta a sua stessa immagine e somiglianza

«il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.»

Il concetto più alto della dignità umana, con Dio che crea l'essere umano a sua immagine e somiglianza, la bellezza del corpo umano come diretta emanazione e specchio della spiritualità umana, punto più alto della creazione divina, è alla base di una delle opere più rappresentative del Rinascimento Italiano, la "Cappella Sistina" di Michelangelo Buonarroti, di cui il Vasari scrisse:

«[Nella] creazione di Adamo, [Michelangelo...] ha figurato Dio portato da un gruppo di Angioli ignudi e di tenera età, i quali par che sostenghino non solo una figura, ma tutto il peso del mondo, apparente tale mediante la venerabilissima maiestà di quello [Dio] e la maniera del moto, nel quale con un braccio cigne alcuni putti, quasi che egli si sostenga, e con l'altro porge la mano destra a uno Adamo, figurato di bellezza, di attitudine e di dintorni di qualità che e' par fatto di nuovo dal sommo e primo suo creatore più tosto che dal pennello e disegno d'uno uomo tale»

Sullo sfondo di un'alba (che simboleggia per il neoplatonico Michelangelo, proprio l'alba dell'umanità) si stagliano le figure di Adamo e di Dio, il primo sdraiato su un manto erboso risvegliatosi da un letargico torpore, il secondo trascinato dagli angeli ed avvolto in un mantello purpureo: la straordinaria invenzione degli indici alzati, un attimo prima di toccarsi, rende perfettamente l'idea dell'incontro fra l'umano ed il divino, non è un caso forse che Adamo sia sdraiato e statico mentre Dio sia in movimento, per simboleggiare forse sia la benevolenza del Creatore che va incontro alla sua creatura prediletta sia la potenza e l'energia di Dio che, con l'imminente contatto degli indici, verrà trasferita come vitalità all'uomo. Ma l'attesa trepidante rimane irrisolta, il contatto che non avviene rappresenta anche l'irraggiungibilità della perfezione divina da parte dell'uomo.


Proprio il gesto semplice dell'indice che si avvicina al Creatore si ritrova con imbarazzante somiglianza in uno dei capolavori di Stanley Kubrick, l'epico "2001: Odissea nello spazio".
Mi sorprendo ancora di come artisti separati da cinque secoli di distanza siano capaci di esprimere, con mezzi e formazioni diverse, concetti tanto simili ed arrivare a creare opere magnifiche e così vicine fra loro: la pellicola di Kubrick è una favola apocalittica sul destino dell'umanità e dello sviluppo della tecnologia, un'avventura spaziale, raccontata come un documentario (anche grazie allo stile realistico ed oggettivo del regista, merito della sua formazione come fotoreporter) che si trasforma nella scoperta di se stessi. Il monolite nero (forse un riferimento alla al-Ḥajar al-Aswad, la Pietra Nera sacra al mondo islamico?) è un'intelligenza etraterrestre che ha permesso ai primati che si vedono all'inizio della pellicola di evolversi in esseri umani, un'analogia con Dio che trasmette la vitalità al letargico Adamo.


Ma è proprio nel commovente finale che si realizza il senso di questo viaggio che è molto più di un'esplorazione spaziale: il protagonista, l'astronauta David Bowman, dopo un viaggio verso Giove per studiare il misterioso monolite nero si ritrova catapultato in una misteriosa stanza chiusa arredata in stile impero, dove trova un letto, un bagno e del cibo necessari a soddisfare i suoi bisogni primari. Il tempo scorre rapidamente (un'iperbole temporale tipica del cinema di Kubrick) e Bowman attraversa in un lampo i vari stadi della sua vita sino ad arrivare al culmine della sua vecchiaia e, disteso sul letto, vede dinnanzi a sè il monolite nero.
E qui si assiste, a mio parere ad una delle scene più profonde, complesse e commoventi della cinematografia del XX secolo: Bowman con respiro affannoso guarda il monolite nero che, nella sua indecifrabilità, sembra rispondere allo sguardo dell'uomo, l'astronauta oramai prossimo alla morte alza il braccio destro e tende, con le sue ultime forze, l'indice verso il monolite, come nell'affresco della cappella sistina di Michelangelo e si rinasce come "starchild", un feto cosmico che osserva, dallo spazio, la Terra. È curioso far osservare come, al contrario dell'affresco michelangiolesco, non è la divinità ad avvicinarsi all'uomo ma è l'essere umano che, stavolta, tende verso non chi l'ha creato ma chi ne ha accompagnato lo slancio evolutivo ed il cammino.  
Questa ultima metamorfosi è accompagnata dal maestoso tema di Richard Strauss "Così parlò Zarathustra" che aveva già sottolineato le prime immagini del film ed in particolare l'evoluzione delle scimmie e conclude, così, in maniera epica e circolare l'intera pellicola, mostrandoci in meno di un minuto il nuovo slancio evolutivo e vitale dell'essere umano, che regredisce allo stato di feto ed osserva dall'alto la sua terra, diventando quasi un tutt'uno con il suo pianeta ed il cosmo stesso: l'uomo come parte minuscola, ma al tempo stesso centrale e vitale, di tutto il creato.


Mi sembra doveroso citare l'ultimo verso che conclude la "Divina Commedia" di Dante Alighieri, che sembra racchiudere quanto visto finora:

«[...] A l'alta fantasia qui mancò possa;  
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle.»

Due visioni diverse, due epoche lontanissime e due modi di operare praticamente agli antipodi, eppure il concetto è proprio quello di un'entità benevolente che ha accompagnato da sempre l'umanità nel suo cammino, un gesto di amore che non ci rende più frutto del caso.


                                                                                                     -   P.

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