lunedì 4 marzo 2013

Pittore vs. Regista (pt.3): Renè Magritte dialoga con David Lynch

« Le immagini vanno viste quali sono, amo le immagini il cui significato è sconosciuto poiché il significato della mente stessa è sconosciuto. »   (R. Magritte)


Alle vole l'arte sembra quasi prendersi gioco di noi: ci sono artisti che, con le loro opere, sfidano le nostre capacità di interpretazione e i nostri sensi, l'arte si trasforma quasi in una sorta di “gioco mentale” in cui non si riesce a capire se c'è un significato più profondo ben nascosto o si assiste solo alle burle di un artista che si diverte a far scervellare gli osservatori. Il movimento surrealista, negli anni '20 del secolo scorso pose l'attenzione sulle vere potenzialità creative dell'inconscio, quell'abisso della mente umana teorizzata da Sigmund Freud, criticando la razionalità cosciente e dando il giusto spazio al mondo onirico che la società moderna sembrava aver dimenticato, un modo per rappresentare la realtà frammentaria (o forse, un frammento di realtà) di quel “grand siècle” che fu il '900. L'illusione positivista di un mondo oramai totalmente compreso dall'uomo decade con l'arrivo del nuovo secolo, la realtà è un mistero inconoscibile: le equazioni di Maxwell mettono in ginocchio tutte le teorie della Fisica “classica” che hanno fornito la spiegazione di tutti i fenomeni naturali fino a quel momento e Freud, con la psicanalisi, dimostra che l'uomo non ha certezze nemmeno su se stesso, tutto è un mistero e ogni tentativo quasi “borghese” di svelare questo mistero è una pretesa risibile, il “reale” (o il “fenomenico”, come direbbe Kant) non può essere rappresentato né tantomeno interpretato, ma se ne può mostrare il mistero inconoscibile: insinuare dubbi nell'osservatore, questo lo scopo del “saboteur tranquille”, ossia Renè Magritte.


Troppo spesso si è cercato di banalizzare la pittura di Magritte con semplici (e semplicistiche) analisi psicologiche, riconducendo molte trovate pittoriche allo shock che il pittore ha subito da piccolo per via del suicidio della madre; Magritte procede per dissociazione, rompe i legami fra somiglianza e affermazione, far agire l'una senza l'altra e mandare letteralmente in tilt il senso logico dello spettatore, che rimane spaesato, ma al tempo stesso meravigliato, dalle opere: merito anche dello stile pittorico di Magritte, capace di un illusionismo onirico che riesce a rimanere sempre freddo ed impersonale, capace di accostamenti incredibili e realtà assurde con una naturalezza ed una spontaneità tali da rendere il tutto armonioso, merito anche del raffinatissimo trompe l'œil che egli usa nelle sue tele. Si potrebbe quasi dire, usando un paragone musicale, che Magritte, crea melodie meravigliose giocando con le più aspre dissonanze: massi leggeri come nuvole, cieli diurni che si stagliano su paesaggi notturni e parti di cielo che si trasformano in uccelli, non c'è la riflessione “paranoide” di Salvador Dalì o l'esplosione inconscia del surrealismo di André Breton, è uno sguardo lucido sulla realtà circostante con la sola esigenza di tradurre in immagine il silenzio di ciò che ci circonda: il mondo è un mistero indefinibile per Magritte, un'affermazione che sarebbe sicuramente piaciuta anche a Giovanni Pascoli.


 

Meraviglioso, al riguardo, è uno dei più famosi quadri di Magritte, “Gli amanti” dove una coppia si bacia appassionatamente ma i loro volti sono coperti da sudari: dietro il fitto intreccio di morte, impossibilità di comunicazione e maschere che confondono e cambiano i lineamenti (tema ripreso dai libri gialli di cui il pittore era un vorace consumatore) ma ancora una volta torna in auge la questione del visibile e dell'invisibile con questo angosciante bacio nascosto che priva di ogni caratterstica di individualità i due amanti, «un oggetto può implicare che vi sono altri oggetti dietro di esso» scriverà Magritte nel 1929.  


Una realtà frammentaria, quindi, o un frammento di realtà? Del resto la psicanalisi di Freud si configura come la terza, terribile stilettata alle certezze dell'essere umano: dopo aver scoperto con Keplero che la terra non è il centro dell'universo e dopo che Darwin, con la teoria dell'evoluzionismo, dimostra come l'uomo sia frutto di un'evoluzione casuale, ecco l'ultima agghiacciante verità, non siamo padroni nemmeno di noi stessi, non riusciamo a guardare oltre l'abisso oscuro del nostro inconscio e non riusciamo ad essere nemmeno padroni della nostra mente.  
Certe volte sembra incredibile come menti tanto simili possano vivere in epoche e contesti diversi, riuscendo a produrre opere diverse ma con un'affinità impressionante, la tematica dell'inconscio e della realtà distorta dalla mente, del sogno e del senso inconoscibile permea la poetica di uno dei registi più ammirati dell'ultimo ventennio: David Lynch.


Lynch è un artista poliedrico, capace di destreggiarsi come un funambolo fra scrittura, cinema, pittura e musica ed il suo stile come regista resta uno dei più apprezzati dalla critica: Lynch mescola nei suoi film la pratica della meditazione trascendentale alla lettura rivisitata e corretta dei concetti della psicanalisi freudiana. Come Magritte anch'egli non fornisce mai interpretazioni per le sue pellicole, lasciando allo spaesato spettatore l'arduo compito di trovare il filo di Arianna nei labirinti che il regista tesse. La cosa che più colpisce delle pellicole di Lynch è il suo stile narrativo e visivo, il mix di sequenze oniriche ma al tempo stesso angosciose e la suggestione delle musiche e dei paesaggi che riescono a dare un tono etereo alla vicenda: le scene surreali sembrano prese da un sogno ma riescono a risultare veritiere e tangibili, come se da pittore, Lynch, giocasse con il trompe l'œil.  
Come in una tela di Magritte le scene sono statiche, silenziose e pervase da un clima a metà fra il fantastico ed il reale, i colori della cinepresa sembrano quasi sfumati e l'occhio del regista resta sempre distante ed impersonale tanto che risulta difficile capire chi è l'eroe della vicenda e per chi simpatizzare.
È straordinaria la capacità che Lynch ha avuto nello stravolgere un genere come il film noir e trasformarlo in un'odissea di una mente, ne è un esempio fantastico il celebre film “Munholland Drive”, storia di un sogno di una giovane donna, aspirante attrice, che uccide la propria amante e viene sopraffatta dai sensi di colpa: la simbologia, l'intreccio e soprattutto l'oscurità della pellicola fanno letteralmente naufragare nel buio lo spettatore, che si perde come di fronte alle tele di Magritte: il sogno penetra e si intreccia con la realtà, gli oggetti del mondo reale entrano nel sogno e la figura enigmatica del “cowboy” con il suo sguardo privo di sopracciglia è il tramite fra il mondo onirico e quello materiale.



Gli echi magrittiani pervadono anche “Strade perdute” , altra pellicola di Lynch: ancora una volta si parte dal genere noir che viene radicalmente stravolto, la storia “reale” sembra fondersi con i processi mentali che il protagonista Fred Madison vive, come in una sorta di nastro di Möbius.
E come non citare la leggendaria serie “Twin Peaks”? Una tranquilla cittadina americana che nasconde un mondo oscuro, abitato da doppelgänger, demoni e spiriti, un caso di omicidio che sembra irrisolvibile e un mistero che diventa sempre più fitto man mano che si scava

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Lynch e Magritte giocano sporco, si appropriano di un linguaggio e di un approccio realista per descrivere situazioni surreali, in cui il mistero, l'inconoscibile e l'abisso oscuro della psiche umana si fondono con la dimensione fenomenica.  
Del resto, l'arte è anche questo: andare a stimolare la mente dell'osservatore e portare una provocazione capace di smuovere l'animo e la mente dell'uomo che la vita borghese fa cadere in letargia, Lynch e Magritte mostrano come la modernità non sia portatrice di certezze e si divertono a risvegliare lo spirito della curiosità per permettere di esplorare quella realtà di cui riusciamo a vedere solo una parte.

                                                                                                   
                                                                                                                  -   P.



PS: non c'è due senza tre ed il quarto vien da sé, diceva mia nonna... quindi fra poco ci sarà l'ultimo appuntamento con la serie “Pittori vs. Registi” con un finale in grande stile!


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